Ilaria Alpi e Miran Hrovatin – Due omicidi, tante ipotesi, nessuna certezza

Ilaria Alpi e Miran Hrovatin vennero uccisi il 20 marzo del 1994 a Mogadiscio, in Somalia.

Due omicidi, tante ipotesi, nessuna certezza.

La giornalista stava conducendo un’inchiesta sulla cooperazione, quando si imbatte nel traffico d’armi e in quello di rifiuti tossici.

Inchieste, processi e commissioni parlamentari, portano all’individuazione come possibile movente il traffico internazionale di rifiuti tossici o radioattivi.

Il dubbio è quello che qualcosa di più grosso, di più importante, abbia portato alla morte della giornalista e dell’operatore: il traffico internazionale di materiali nucleari a uso bellico!

Di traffico internazionale di rifiuti tossici o radioattivi ne parliamo con Katia Sartori e Riccardo Sindoca.

Katia Sartori:

Dalle consapevolezze pubbliche emerse in un procedimento penale a La Spezia, tale giornalista Di Nunzio, si presenta all’autorità giudiziaria depositando della documentazione e rilasciando delle dichiarazioni. Di Nunzio aveva documentato un’attività sul traffico di rifiuti che era stata considerevole e notevole. Aveva dichiarato anche, a suo dire, che tutto si intersecava con la vicenda Alpi. Uno degli investigatori che raccolse e studiò tutto il materiale è Antonio Evangelista, all’epoca coordinatore della Polizia giudiziaria della Procura di Asti e che sarà teste, durante la commissione di inchiesta sulla morte di Ilaria Alpi.

Tutto nasce da un gemellaggio tra la Polizia giudiziaria di Asti in capo alla Procura e dove vi era appunto Evangelista e la Forestale di Brescia, all’epoca tra le più competenti in materia di rifiuti. Un giorno il titolare di un’attività di stoccaggio di rifiuti, tale Gambaruto venne contattato da Scaglione per una verosimile attività di esportazione di rifiuti all’estero. Gambaruto, non era convinto dell’affare che gli veniva proposto e così decise di chiedere aiuto. Gli investigatori che già erano in possesso della notevole mole di documentazione del giornalista Di Nunzio decidono, con il suo consenso di microfonare il Gambaruto, al fine di captare i contenuti del colloquio.

Avvenne l’incontro, tra il Gambaruto e il figlio di Scaglione e dal colloquio emerse che si trattava di un’esportazione di rifiuti all’estero, in Africa e forse Somalia. Le problematiche erano rappresentate dai tempi di attesa delle autorizzazioni, quelle che dovevano arrivare in capo allo Scaglione.

Dopo questo incontro, gli uomini di Evangelista e della forestale di Brescia decisero di approfondire l’argomento e di espletare ulteriori indagini soprattutto sul console somalo. Perché dalla registrazione di quell’incontro, apparve chiaro sia agli uomini di Evangelista e sia agli uomini della forestale di Brescia che, nonostante in quei momenti in Somalia vi fosse una grossa problematica di carattere politico, il traffico dei rifiuti verso l’estero era in fase organizzativa. E poi, la documentazione precedentemente fornita dal Di Nunzio, aveva trovato effettivamente un riscontro. In quel periodo, proprio dalla lettura della documentazione portata all’attenzione degli investigatori dal Di Nunzio, Evangelista e i suoi uomini sentirono a Genova, tale Rizzuto, all’epoca Avvocato specializzato in diritto marittimo, nonché difensore di uno dei capitani delle c.d. “navi dei veleni”. Navi che in buona sostanza, in quel periodo, transitavano nel Mediterraneo e altrove e che nessuno voleva. E nessuno voleva per un motivo ben specifico.

Ti avevo già accennato alla nave respinta dal porto di Palermo proprio a causa del suo carico che con ogni probabilità fu gettato in mare, sulla quale indagò il Capitano De Grazia, che poi perse la vita in circostanze mai del tutto chiarite. Emblematiche le parole che Franco Neri, nel 1995 procuratore di Reggio Calabria che coordinava le indagini, pronunciò nel corso di un’intervista “Se non fosse stato eliminato De Grazia, sono certo che ci avrebbe portato sulla Rigel. Purtroppo, non ci è stato consentito di dimostrare la verità”.  Un filo rosso unisce la morte di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, uccisi a Mogadiscio il 20 marzo 1994 a quella del capitano reggino Natale De Grazia. Proprio in occasione delle indagini della procura reggina emersero legami tra l’affondamento dell’imbarcazione Rigel e l’omicidio della giornalista del tg3 e l’operatore di riprese. Tra quei documenti rinvenuti durante le perquisizioni, anche il certificato di morte di Ilaria Alpi poi acquisito nel fascicolo d’indagine reggino, salvo poi essere sottratto e scomparire nel nulla.

Ma torniamo all’indagine di Antonio Evangelista. Quindi il materiale di Di nunzio e la registrazione dell’incontro tra il Gambaruto e Scaglione, posero le basi per un’attività investigativa, volta a riscontrare l’ipotesi di un traffico di rifiuti, che ad un certo punto si capì, fosse destinato alla Somalia. Lo scenario era vasto ed anche piuttosto complicato perché all’epoca c’era la vecchia normativa e quindi gli investigatori, per poter procedere ad esempio con l’attività di captazione delle utenze dei soggetti da attenzionare, dovevano necessariamente poter argomentare l’ipotesi di disastro ambientale.

Quando l’attività intercettiva ebbe finalmente iniziò, gli uomini di Evangelista scoprirono un’utenza telefonica dove avvenivano colloqui tra Faduma, figlia di Aidid e sua zia tale Awa, sposata con un nostro ufficiale in pensione e residente a Roma. Gli uomini di Evangelista, quindi, misero tutte le utenze telefoniche sotto controllo e sull’utenza di Roma scoprirono un numero considerevole di telefonate in italiano e in somalo. In quelle telefonate c’è di tutto di più, si parla di rifiuti, di omicidi, di responsabilità, prevalentemente per bocca della figlia di Aidid, Faduma.

Alcune conversazioni telefoniche verso le utenze attenzionate sono riferibili ad un tale di nome Fortunato, ufficiale dei Servizi, che lavorava con il Generale Rajola, all’epoca colonnello. Una delle vicende discusse in queste telefonate intercorse, era stato il ricovero di un militare somalo presso il Celio. Awa e Faduma avevano chiesto aiuto ed i nostri servizi di intelligence si erano prestati dal punto di vista logistico per accelerare la pratica di trasporto e ricovero di quest’uomo.

Ma vengono captate delle conversazioni telefoniche ancor più inquietanti. Pare infatti che sia Awa che Faduma, siano al corrente che Marocchino trafficasse con le sue navi in rifiuti tossici, e che la giornalista, fosse stata uccisa dai nostri Servizi e in una di queste telefonate viene indicato il Generale Rajola unitamente ad altri Generali somali. E mentre in Somalia la situazione politica è sempre più instabile, le interlocuzioni tra il nostro ufficiale dei Servizi Fortunato e Faduma sono sempre più chiare: Faduma ogni volta cerca di accreditarsi come rappresentante dei somali a Roma. Siamo ai tempi della commissione Gallo che sta affrontando la problematica delle torture e Faduma, cercherà di sconfesserare in tutti i modi talune dichiarazioni molto gravi. Salvo poi riferire telefonicamente alla zia Awa di aver “sconfessato” di proposito.

Antonio Evangelista

Sostanzialmente ciò che gli investigatori percepirono dal tenore delle telefonate intercorse che sarà poi al centro delle dichiarazioni rese dallo stesso Evangelista in commissione d’inchiesta sulla morte di Ilaria Alpi, è che Faduma stava dando una mano, ma in cambio loro, dovevano far salire il fratello al governo in Somalia.

Da qui gli investigatori si fecero un’idea e decisero, dato che non potevano certamente mettere sotto controllo le utenze dell’intelligence militare per ragioni di Stato, di inviare presso la comunità somala a Roma colui che li aveva aiutati nelle traduzioni delle intercettazioni. L’idea era quella di microfonarlo e inviarlo lì. Da queste conversazioni registrate, gli investigatori appresero di nuovo informazioni sul traffico di rifiuti, delle armi, dell’instabilità politica e dello scarico dei rifiuti in Somalia. Ad un certo punto la DIA di Genova, grazie ad una fonte, trasmette agli investigatori un documento, con tanto di cartina della Somalia. In questa cartina venivano indicati i siti dello Juba e dello Shebell, due grandi fiumi che scorrono in Somalia, in cui venivano indicati i luoghi in cui vi sarebbe stato l’interramento dei rifiuti. Dopo questo documento, gli investigatori cercarono di reperire informazioni incominciando dalle ditte che avevano operato sul territorio, partendo dall’indicazione Garoe-Bosaso, sulla quale aveva lavorato la ditta Salini. 

Sentirono a sit tale Nichini Piero, uno dei pochi dipendenti della Salini poiché diversi suoi colleghi erano nel frattempo deceduti, che pur non avendo lavorato direttamente in Somalia, era stato in grado di riferire agli investigatori che la ditta Salini aveva effettivamente lavorato in Somalia, dove aveva interrato dei rifiuti con il tacito accordo delle famiglie locali alle quali, venivano corrisposti cinquanta o cento mila lire e che i rifiuti più pericolosi, sempre a detta di Nichini, venivano fatti interrare direttamente dai locali, che in alcuni casi, a distanza di pochi giorni, decedevano. Fu sentito Nichini, ma non fu sentito ad esempio l’operaio responsabile dei “cantieri” in Somalia. Tanto che il Presidente della commissione d’inchiesta arrivò a definire l’indagine “tronca”. Di certo, non per colpa di Evangelista, il quale nel mentre si ritrovò ad altra assegnazione, indicò ai suoi superiori tutta una serie di accertamenti ulteriori che secondo lui, erano necessari per il buon proseguo delle indagini e tra queste si possono trovare le richieste di perquisizioni nei locali della ditta, con particolare attenzione al sequestro di tutto ciò che concerneva, dal punto di vista amministrativo e contabile la Somalia e le escussioni  testimoniali non solo di alcuni operai, che ben avrebbero potuto riferire in merito al sotterramento dei rifiuti in Somalia, ma anche di coloro che si erano resi protagonisti di alcuni colloqui telefonici intercettati durante l’attività investigativa come Faduma Aidid e altri.

Perché come lo stesso Evangelista afferma, sull’omicidio dei due giornalisti Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, i riscontri vengono soprattutto dall’attività intercettiva di questa indagine. Dai colloqui tra Marocchino  e Roghi dove Marocchino, riferendosi agli investigatori italiani, si lamenta di aver dato delle chiare e precise indicazioni per trovare i responsabili e che a suo dire, non sono state seguite, tra Faduma e Fortunato che ricordiamo essere un ufficiale dei nostri Servizi dove, parlando della commissione Gallo e tirando in ballo Duale, l’avvocato somalo che aveva accusato Rajola di aver ucciso Ilaria Alpi, Fortunato riferisce in sostanza che “possono dire ciò che vogliono che tanto non ci sono prove”  e tra Faduma e una sua parente dove Faduma, sostiene che in commissione Gallo ha dovuto smentire quanto dichiarato da altri, solo per poter ricevere un aiuto politico per il fratello in Somalia, ma tuonando allo stesso tempo, che se non l’avessero aiutata in tal senso, sarebbe stata disposta a ritornare in commissione Gallo rendendo “conto” a tutti”.

Riccardo Sindoca:

Riccardo Sindoca

Ci sono delle liason territoriali e dei plausibili moventi, che mi portano  a pensare alle morti di Ilaria Alpi, Li Causi e persino di Marco  Mandolini, ove potrebbero esserci anche i rifiuti speciali ed i traffici di materiale nucleare quali ipotetici componenti di un unico  ‘filo rosso conduttore‘, e qui mi spiego meglio . E’ acclarato che in Sicilia come abbiamo già dato atto, in parte, con precedente e puntuale articolo pubblicato dalla Valle dei Templi, che anche in Sicilia siano state usate ad hoc, cave, fatte poi anche ‘brillare’ per tentare cosi,  di ‘occultare il più possibile ‘ plausibili ricerche in tal senso, come occorso a quella di cui il povero Giudice Paolo Borsellino, apprese solo tre giorni prima della nota strage di via D’Amelio .

Altresì in quel di Trapani era presente la base Scorpione, di cui al presidio dell’allora Comandante Vincenzo Lì Causi, persona nota a chi scrive personalmente, ma anche all’occorrenza del Maresciallo Marco Mandolini, persona esperta in armamenti ed a cui erano affidate mansioni speciali dal ‘noto servizio‘ in materia di specie .

Venne poi noto, anche alle  cronache locali e non solo,  che in quella base avvenissero trasbordi di materiale non meglio identificato ed avio trasportato,  presupposto come ‘armamento‘ a mezzo  di voli ovviamente  ‘coperti ‘ e per tanto governativi,  di cui nessuno possa escludere a priori che non vi potesse essere anche del materiale  nucleare sotto forma ‘magari‘  di comode barre arricchite, facili da trasportare, e per  destinazioni, ipotizzabili, ad esempio,  in quelle libiche al tempo, perché no.

Parimenti vi fu anche una inchiesta che riguardava quella ‘base ‘, mossa per volontà proprio dall’allora Capo del Servizio, l’ammiraglio Fulvio Martini, nome in codice ‘Ulisse‘ e di cui non sappiamo nulla, di ciò che ne sorti, ma sappiamo che il Comandante Li Causi muore in circostanze poco chiare in Somalia, ove prestava servizio, a Balad, il 12 novembre 1993, ripeto, proprio in Somalia ‘guarda caso‘ dove trova la morte anche Ilaria Alpi in pari periodo.

Anche il Maresciallo Marco Mandolini si trova ad operare nello stesso territorio e in medesimo arco temporale, ovvero “in quel della pari Somalia”,  quale, niente po’ po’ di meno, di capo scorta del Generale Loi e ribadisco tenete ben presente che fosse  ‘fratello d’ armi ‘, proprio del già Comandante Vincenzo Li  Lì Causi della nota base Scorpione,  con cui si trovava già ad operare in pari  base a Trapani e poi anche in Somalia, ma attenzione, vi è di più, si ha contezza e teniamolo bene a mente, che Marco Mandolini poi si trova ad investigare sulla morte occorsa in Somalia a Vincenzo  Li Causi e ‘guarda caso‘,  muore anch’egli in circostanze che tutt’ora sono ancora da indagare il 13 giugno 1995, che potrete approfondire con quanto si trovi in rete su fonti aperte, ma che hanno avuto risvolti non da poco in questi ultimi periodi, non fosse che un giornalista abbia incontrato e pubblicato quanto riferito da un alto ufficiale americano che ha dichiarato al coraggioso  giornalista  che gli ‘yankee’ avessero appreso ben 24 ore prima che Marco Mandolini, potesse essere ‘eliminato‘ e qui mi sovviene scontato,  domandarmi quanto: i nostri servizi furono informati? E se si, cosa fecero a tutela della vita del Maresciallo Marco Mandolini i ‘nostri‘?

Vincenzo Li Causi

Son certo, che almeno su questo fatto che mi sta particolarmente a cuore, l’autorità giudiziaria che ne è stata informata ‘grazie‘ all’operato del giornalista Marco Zanella e dell’avvocatura della famiglia Mandolini e del loro Criminologo Consulente, tutte persone più che qualificate in punto, saprà darcene risposta quando sarà, facendo ‘luce’, scrupolosa su quanto di grave per non dire ‘indicibile‘ sia emerso . Tornando ad Ilaria Alpi e a quanto già denunciato fin dal tempo dal noto cronista d’inchiesta Marco Gregoretti che per quanto ai gravi fatti Somali, ricevette persino a mani dell’allora nostro Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalafaro il premio giornalistico di massimo prestigio, il Saint Vincent nell’anno 1998 per i suoi servizi sulle “missioni di pace“, lo stesso giornalista che fu il depositario, unico e diretto delle memorie del povero  Maresciallo Aloi,   è bene che teniate a mente quanto potrete riscontare anche su varie fonti aperte e che qui vi ripropongo fedelmente e di cui i miei ringraziamenti, dovuti anche a  Rainer Maria Baratti, cosi come alla giornalista Monica Mistretta: “prima di partire Ilaria Alpi aveva incontrato la giornalista Rita Del Prete a cui aveva raccontato di aver sentito dire che in Somalia “si costruivano strade che partivano dal nulla e finivano nel nulla, fatte apposta per scavare e mettere detriti tossici”. Questa strada si sarebbe dovuta trovare nella zona di Garoe e serviva probabilmente per occultare scorie radioattive, a tal proposito è accertato che il 15 Marzo del 1994 Ilaria Alpi e Miran Hrovatin hanno percorso metà della strada Garoe-Bosaso. Inoltre la Alpi stava indagando su un traffico di scorie radioattive scaricate davanti alla coste somale. Un fatto di cui tutti i somali si dicono a conoscenza e si ritengono impotenti.

Marco Mandolini

Sull’ipotesi che coinvolge la strada Garoe-Bosasorileva un episodio che coinvolge Giancarlo Marocchino. Nel 2003 l’ingegnere Vittorio Brofferio, che si occupò dal giugno 1987 al dicembre 1988 della costruzione di detta strada, inviò una email ai gestori del sito internet www.ilariaalpi.it segnalando un episodio in cui Marocchino, che si occupava dei convogli per la cooperativa che costruì la strada, mostrò un telex allo stesso Brofferio che recitava “ricevere dei container da interrare in zone disabitate lungo la nostra strada, alla sola condizione di non aprirli per controllare il contenuto”. Secondo la commissione parlamentare però tali fatti non trovano riscontri oggettivi né smentite.

Inoltre, le indagini condotte dalle Procure della Repubblica sul traffico dei rifiuti non hanno mai portato ad alcun risultato significativo. Tuttavia la Procura di Milano istruì un procedimento penale scaturito dalle dichiarazioni rese da Gianpiero Sebri che, accusando anche se stesso, riferì in ordine ad una ramificata organizzazione dedita al traffico internazionale di rifiuti. Sebri nelle proprie dichiarazioni fece riferimento al Progetto URANO, ovvero un complesso progetto per lo smaltimento di rifiuti tossici attraverso l’interramento in aree ritenute idonee, fra queste anche la Somalia. Tale progetto fu ideato e promosso da Guido Garelli attraverso la Compagnia Mineraria Rio de Oro. La Procura di Asti ha invece indagato sui rapporti che intercorrevano tra Ezio Scaglione e Giancarlo Marocchino, intercettando numerose conversazioni telefoniche su un coinvolgimento in un traffico di rifiuti verso la Somalia. Secondo la Procura di Asti, Scaglione avrebbe procacciato clienti in Italia, mentre Marocchino avrebbe assicurato la compiacenza delle autorità locali e dato supporto logistico all’operazione. Occorre però evidenziare che l’inchiesta penale non è giunta all’accertamento di alcuna responsabilità. per quanto riguarda l’ipotesi delle scorie radioattive sulla costa somala nel 2011 Paul Moreira, firma di prestigio del giornalismo d’inchiesta in Europa, ha prodotto il documentario “Toxic Somalia”. Nel documentario il giornalista francese segue la strada aperta da Ilaria Alpi per indagare sul traffico illecito che partiva dal Nord Italia e finiva in Somalia con il benestare dell’allora presidente ad interim Ali Mahd. La ragione di questi traffici è da ritrovare nei costi di smaltimento dei rifiuti tossici: più il materiale è tossico e più il costo per lo smaltimento nei paesi avanzati è alto. Di conseguenza una delle vie percorse è quello dello smaltimento illegale nei paesi in via di sviluppo. Moreira documenta una realtà in cui lo tsunami che colpì la Somalia nel 2005 riporto dei grossi “bidoni” sulle coste. Il giornalista intervista la popolazione somala che segnala che con l’arrivo dei bidoni sono sorte molte malattie nel villaggio lì vicino (diarrea, infezione agli occhi, problemi alla pelle, difficoltà a respirare) e denuncia il fatto che le coste non sono sorvegliate dalla guardia costiera e chiunque può gettare quello che vuole. Questi “bidoni” hanno delle maniglie che permettono con facilità di gettare via il carico dalla nave. Nel 2006 una ONG ha trovato 40 di questi bidoni testimoniando che molti di questi hanno perso il proprio contenuto riversandolo in mare. La missione della ONG era guidata da Andreas Bernstorff, uno specialista di rifiuti tossici, che però afferma di non aver trovato nessun segno identificativo sui barili e che questi non furono aperti in quanto mancavano le necessarie misure di sicurezza in caso di materiale tossico, ipotesi dovuta alla mancanza di segni di riconoscimento e alla presenza di saldature su tutto il contenitore. A quanto sembra nessuno si è occupato di controllare il contenuto dei bidoni e l’allora vice primo ministro del Governo della Repubblica Somala Abdirahman Ibbi dichiarò di aver provato ad inviare del personale delle Nazioni Unite che però non si è nemmeno avvicinato ai bidoni. Ulteriore problematica per l’analisi del contenuto di questi bidoni è che la zona in questione è sotto il controllo del gruppo terroristico Al Shabaab e si temono rischi per la sicurezza.

Moreira si dirige poi a Merca, capitale dei pirati somali, dove la pirateria è l’unica attività economica dal momento che sembra che l’inquinamento di questi rifiuti abbia sterminato tutti i pesci. I pirati Somali accusano l’occidente di scaricare nelle loro acque i rifiuti tossici e che se ci si immerge nel mare, si riscontrano problemi alla pelle una volta usciti dall’acqua. Per poter verificare tali testimonianze Moreira quindi si dirige all’ospedale di Mogadiscio. Qui trova molti bambini con infezioni, malattie e malformazioni riconducibili all’esposizione a materiali tossici (prevalentemente malattie che colpiscono l’apparato urinario). L’ospedale conferma che dall’inizio della guerra civile il numero di bambini nati con malformazioni congenite è triplicato, il problema in questo caso è che l’ospedale non ha i mezzi necessari per poter ricercare in maniera precisa le cause di tali malformazioni in quanto, ad esempio, non esiste un laboratorio di analisi. Ora andremo anche ad analizzare quanto riconducibile alla CIA, ovvero all’ Agenzia che si è’ presupposto più volte abbia operato anche in base Scorpione a Trapani per certi ‘sbarchi‘ e di cui si presuppone Li Causi e Mandolini, possano più che plausibilmente aver ‘impattato‘ per più versi e che magari avessero potuto pure ‘riferire‘ nelle more dell’ inchiesta mossa e voluta dall’allora Capo del noto servizio ‘Ulisse‘. A 26 anni dall’omicidio della giornalista in Somalia si continua a parlare del caso Alpi-Hrovatin grazie anche all’azione di L’Espresso e del giornalista Andrea Palladino che sono riusciti ad entrare in possesso dei rapporti inediti dei Servizi segreti americani. Dopo un anno e mezzo di istruttoria il rapporto della CIA aggiunge elementi importanti al contesto somalo oggetto dell’ultimo reportage di Ilaria Alpi.

Nel momento della guerra civile vi erano due principali fazioni: Ali Mahdi, alleato con le forze delle Nazioni Unite, e Mohammed Farah Hassan detto Aidid”, a capo delle forze islamiste. La CIA quindi nel settembre del 1993 era sulle tracce di quest’ultimo e ne monitorava ogni spostamento. L’obiettivo era quello di capire chi finanziasse la fazione islamista e da dove provenissero le armi utilizzate dalle milizie. Viene pertanto segnalato un aumento dei flussi di armi verso tale fazione nell’Agosto del 1993. Dato che l’obiettivo di Aidid era quello di far fallire la missione Restore Hope, secondo la CIA, l’acquisto delle armi aveva due scopi: 1) essere pronti al combattimento; 2) convincere altri signori della guerra ad allearsi con gli islamisti.

Secondo la CIA i supporter di Aidid utilizzavano la società di trasporti che apparteneva a Ahmed Duale e a Giancarlo Marocchino. Tale società inoltre funzionava come snodo logistico dei supporter di Aidid. La stessa società era ben nota negli ambienti del contingente Italiano e dal comando ITALFOR, che emetteva fatture per migliaia di dollari relative a forniture di ogni tipo. Inoltre questa era stata spesso utilizzata come supporto logistico per la cooperazione italiana prima del conflitto.

A 26 anni dall’omicidio in Somalia, però il caso Alpi-Hrovatin rimane una ferita aperta da segreti che durano ancora oggi. Riflettere e portare la verità su questo caso potrebbe rappresentare una vittoria per chi mette a rischio la propria vita per riportare la voce degli ultimi nei paesi più svantaggiati e allo stesso tempo riflettere sugli effetti dell’azione italiana su un paese come la Somalia, in modo da offrire un aiuto concreto e un futuro augurabile a un paese sprofondato nel dimenticatoio. E’ importante però prendere in considerazione quanto ben spiegatoci da Monica Mistretta per meglio comprendere la portata e cosa significhi la “fuorviante idea collettiva“ che si possa avere allor quando noi si pensi a “rifiuti tossici radioattivi  ecc “ e non invero al traffico vero e proprio di materiale nucleare, posto che in Somalia vi fosse un traffico di materiale nucleare e non solo di rifiuti tossici e radioattivi . Consultata sul punto “chiave“ Mistretta ci dice: “ veniva venduto all’Iran e alla Siria. tutte le Commissioni, sono otto, che hanno indagato sui “rifiuti tossici”, parlano solo di rifiuti. In realtà se si va a leggere bene gli atti di queste commissioni, guardando le singole audizioni, a volte le fonti che vengono ascoltate parlano di materiali nucleari, primo fra tutti Moschitta (membro del pool di inchiesta sulle navi che trasportavano rifiuti tossici insieme al capitano di Corvetta Natale De Grazia, ndr). Lui lo ha detto alla Commissione Pecorella: «Tra un fusto e l’altro si nascondeva qualcosa di diverso». Mentre i fusti contenevano scorie di vario genere, attorno ai fusti, mentre li analizzavano, rilevavamo una radioattività di tipo alfa, cioè quella del plutonio. Significa che le navi venivano sì caricate di rifiuti, ma questi servivano per nascondere il vero carico della nave. Se poi fosse risultata radioattiva in un porto, tutti avrebbero pensato comunque ai rifiuti e non a quello che vi si celava. Le barre di plutonio sono piccolissime, quindi le puoi trasportare e nascondere dove ti pare. Io ho cercato di capire: le barre sono grandi pochi centimetri, non occorre molto spazio. Queste cose non sono evidenze comuni, le sappiamo chiaramente chiedendole agli scienziati. Solo che nessuno ha fatto queste domande prima di oggi.

“Guarda, Francesco Neri, che è il magistrato che si è occupato direttamente di questo tipo di traffici dice che quelle navi affondate non erano cariche di rifiuti, erano cariche di materiali nucleari, erano depositi di materiali nucleari. La radioattività di tipo alfa è il plutonio. È folle credere che il plutonio sia stato “buttato via”. Perché vale miliardi di dollari. Non sono rifiuti! Lo stesso Francesco Neri, quando ci siamo incontrati per la prima volta mi ha detto: «finalmente spostiamo il tema a quello che era veramente». Mi ha confermato punto per punto con un’intervista finale che si trattava di depositi di materiali nucleari e di materiali a uso bellico venduti al medioriente».Per tanto sempre a detta della attenta giornalsta Ilaria Alpi  potrebbe essere stata uccisa anche per aver scoperto questo traffico di materiale nucleare e su quanto ci tiene a precisare “ È Insomma, riassumendo, al centro della vicenda sembrerebbe esserci un traffico internazionale di materiale nucleare, trattato e riutilizzato per scopi militari. Un materiale preziosissimo e di difficile reperibilità. Servizi segreti, documenti che appaiono dove non dovrebbero essere (come il certificato di morte di Ilaria Alpi) e poi spariscono. Un militare che si occupa delle indagini sulle navi incriminate che muore avvelenato da sostanze radioattive. I servizi segreti iraniani. Sembrerebbe la trama di un romanzo di spionaggio internazionale, ma la maggioranza degli elementi elencati sono ormai verità processuale o ipotesi documentate da inchieste giornalistiche come quella di Monica Mistretta. Come un romanzo: se non fosse che le famiglie di due persone assassinate ancora, dopo 25 anni, aspettano di conoscere la verità. molto probabile.

A questo punto Morici mi sovviene l’inquietante ulteriore dubbio: se gli stessi traffici di matrice ovviamente anche “governativa” per implicite complicanze, fossero gli stessi in cui impattarono Li Causi e Mandolini, potrebbe essere questo il “movente“ quale “filo rosso conduttore“, note per l’appunto le analogie temporali ed i siti “che accomunavano“ Li Causi, Mandolini e Ilaria Alpi per rispettive competenze e temporalità di frequentazione?”  

Cosa accadde in Somalia? Imbrogli documentali, operazioni di riciclaggio di denaro sporco, traffico internazionale di armi e di stupefacenti, traffico di rifiuti tossici e radioattivi ma anche traffico di nucleare.

Il tutto con l’intersezione con vicende belliche e terrorismo, che lasciano ritenere che alcune operazioni fossero coordinate da apparati governativi.

Del “Progetto URANO” e quello che ha orbitato attorno allo stesso torneremo a scriverne nei prossimi articoli, così come sulla morte di altri due giornalisti, ‘caduti’ in un gioco di potere e loschi affari che ha visto coinvolti servizi di sicurezza, terroristi e ‘imprenditori’ della guerra…

Gian J. Morici per La Valle dei Templi