Dossier, parla Lady Vaticano: “Un mandante voleva screditare il Papa”
La manager Cecilia Marogna finita nel processo Becciu sul palazzo di Londra. Spiata nel 2020, ha presentato un esposto
«Il promotore di giustizia Alessandro Diddi ha fatto bene ad aprire un fascicolo Vaticano sul caso “dossieraggio”, poiché chi ha tramato per seguire le tracce della Santa Sede, come è emerso ad oggi dai mass media e come abbiamo sostenuto nelle denunce, ha voluto esporre questo Papato al mondo intero, con azioni che hanno “screditato”, davanti all’opinione pubblica, l’operato di Papa Francesco e i nobili obiettivi che Sua Santità si era prefisso per il Suo Pontificato. In tal senso è fondamentale che il mandante, ovvero chi abbia così profuso energie, ne risponda anche agli organi di Giustizia Vaticana, per competenza non solo giuridica, ma anche e soprattutto etico-morale».
Parla in esclusiva a Il Tempo Cecilia Marogna, la Lady Vaticano condannata in primo grado nel processo Becciu. La manager sarda, finita nello scandalo della trattativa della Segreteria di Stato nell’acquisto del palazzo di Londra, è anche vittima degli accessi abusivi effettuati da Striano & Co sui principali protagonisti della vicenda. Il tenente della Finanza ha illecitamente spiato la Marogna il 20 marzo 2020, dopo aver già setacciato i nominativi di Raffaele Mincione, l’imprenditore proprietario del palazzo al centro della trattativa il 22 luglio 2019, il 25 e il 28 ottobre 2019. Sempre il 22 luglio Pasquale Striano aveva cercato l’architetto Luciano Capaldo, consulente della segreteria e teste di spicco nel processo contro Becciu.
Il 25 luglio era stata la volta del broker Gianluigi Torzi, titolare della società lussemburghese che avrebbe acquistato il palazzo. E ancora tre accessi su Fabrizio Tirabassi, minutante dell’Ufficio Amministrativo della Segreteria di Stato e tra i principali accusatori di Becciu: il 22 luglio, il 30 e il 20 agosto 2019.
Ora Marogna, che ha presentato un esposto ai carabinieri in cui chiede approfondimenti investigativi al fine di risalire al mandante, risponde attraverso il suo procuratore in atti e coordinatore del collegio di difesa, Riccardo Sindoca.
Signora Marogna, lo scandalo dei dossieraggi ha aperto un vaso di Pandora in cui lei stessa è vittima.
Che sensazione ha avuto quando ha scoperto di Striano & Co?
«È stata una conferma per me e per il mio team difensivo, che già a luglio scorso avevamo denunciato illegittimi “dossieraggi” nei confronti degli avvocati Giuseppe Di Sera e Fiorino Ruggio, posti in essere da militari della Guardia di finanza e sempre sotto gli occhi della Magistratura. Fatti di una gravità inaudita, vista la delicata funzione che un avvocato ricopre in seno ad una legittima difesa. Che appaiono verosimilmente come un’intimidazione “bella e buona”, tesa a “minare” un diritto sacro e inviolabile».
Come può il caso spioni rimescolare le carte dei processi Vatileaks 2 e Becciu?
«Nell’esposto che ho presentato si fanno nomi e cognomi che sono già stati soggetti implicati sempre nei medesimi casi vaticani. Pertanto mi domando: è un caso? Per me no».
Lei nell’esposto fa riferimento a Federico Cafiero De Raho. Com’è collegato alla sua vicenda e che ruolo avrebbe nel dossieraggio?
«Nell’anno 2018 fu proprio De Raho a sostenere e dare plauso, in un rapporto a sua firma, all’operato di Striano. Pertanto motivi lui il plauso dato a tale operato. Credo che ci siano elementi non ancora resi noti, ma già lo scenario appare più che inquietante, visto l’abuso sulle Sos, che sembrerebbe il presupposto delle accuse, configurate anche attraverso strutture come la Procura Nazionale Antimafia».
E Bonafede che c’entra?
«Beh sotto il suo Ministero sono occorsi i miei arresti illegittimi, così come i sequestri, in assenza di Convenzione Internazionale ratificata, dunque senza legittimazione se non per “mera cortesia istituzionale”, come emerge dagli atti, resa avverso una richiesta che perveniva da uno Stato Estero. Questo è il fatto che il mio procuratore Sindoca definisce “un obbrobrio”, che potrebbe impattare sulle sorti di qualunque malaugurato cittadino».
C’è un indizio inquietante che ora emerge dalla comparazioni degli atti dell’inchiesta di Perugia con quelli del processo Vaticano. Il 20 marzo 2020, Striano effettua l’accesso abusivo sul suo nominativo e lo stesso giorno il promotore Diddi chiede di sequestrare i suoi conti sloveni.
Che significato ha per lei?
«Quando parlo di “cortesie” in ambito giudiziario mi riferisco all’assenza di richieste precise sotto forma di rogatorie, quali richieste motivate di assistenza giudiziaria ad espletarsi, che devono essere riscontrabili nel fascicolo. E questi atti non ci sono. Purtroppo già dalla genesi di questa vicenda, cioè dalle indagini preliminari, emergono gravi pregiudizi, oltre a plurime violazioni in ordine ai canoni del Giusto Processo».
Lei crede ci sia un mandante? E dove dovrebbero puntare le indagini?
«Cui prodest? È da qui che vanno ricercati i mandanti. Come? Tracciando i contatti di coloro che si presume si siano “macchiati per primi” di ipotesi di reato sui generis e da lì in poi ricostruire tutto quell’alveo criminale che vi abbia tratto indebito profitto. Perché fatti simili portano poi alla più che palese consumazione di reati ben più gravi ed in via associativa. Traduco: l’uso di informazioni “non autorizzato” servirà poi per collezionare “ben altro”, da utilizzarsi ai danni della vittima predestinata, raggiungendo così il fine ultimo anche con la consumazione di una sequela di ulteriori azioni, tutte “contra legem”. Reati che non possono escludere, nella loro ipotesi finale, nemmeno l’eversione dell’ordine costituito».
E che ruolo può aver avuto la stampa, visto che lo scandalo scoppia con l’uscita dell’Espresso?
«La stampa, agente consapevole o meno, è il vettore e “ingrediente fondamentale”, affinché “operazioni clandestine e finanche illegali” vadano a segno. Intelligence, per chi sa realmente cosa significa, è Informazione, acquisita per poi essere “utilizzata”. Pertanto i media non possono prescinderne dal farne parte, consapevolmente o inconsapevolmente».
Rita Cavallaro per Il Messaggero